venerdì 23 gennaio 2009


"E mi è bastato chiudere gli occhi perché la giostra si mettesse a girare, in una estate pomeridiana dove le ombre dei fogliami e le luci aeree si rincorrono sbattendo come ali screziate. Ho forse quattro anni o cinque, e viaggio sulla giostra di Villa Borghese, a Roma. Secondo il mio solito, a preferenza dei veicoli a motore o a ruote, avrò scelto quando un cavallo e quando un cigno, animali fraterni, e inclini a itinerari di follia. La giostra corre suonando una canzonetta, a un ritmo veloce almeno quanto la rotazione della terra: cavalcata radiosa, delizia e paura, sotto la segreta minaccia di non fermarsi più. A ogni girata si rifà il giro del mondo, ripassando in una volata tutti i punti dell'equatore. E in un punto c'è sempre una che aspetta me, proprio me e nessun altro far tutti i viaggianti. Aracoeli! già a distanza lei mi riconosce, con sua grande sorpresa; e mi festeggia, nella sua balzante gonnella fiorata sventolando la sua manina: «Adiós! Addio! Addio!» Fiero della mia impresa mondiale, io, per quanto impegnato nel tenermi in groppa, la saluto con un sorriso tripudiante. Al mio risponde il tripudio uguale del suo riso. E le nostre due risa insieme balzano da una corda all'altra, vibrando in invisibili casse di risonanza lungo una fuga infinita: finchè hanno toccato questa mia stazione serale di Almeria".

E. Morante, Aracoeli, cit., pp. 97-98.

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