venerdì 25 settembre 2009

encounter

ARMED RESPONSE

LA PARTITA SUDAFRICANA

“Armed response”, ovvero, risposta a mano armata. È il cartello più comune che si legge sui cancelli delle abitazioni sudafricane. Villette in stile olandese, con un piccolo giardino sul retro, il barbecue, e poi in cima al muro di cinta, quel filo spinato. È davvero finito l’Apartheid? Si può oggi pensare a un Apartheid di senso contrario? I neri hanno occupato le città e i bianchi, benestanti, si barricano nelle loro case? Si pensa al Sud Africa come a un Paese occidentale che ha risolto ormai le questioni storiche legate alla colonizzazione. Vero, il Sud Africa è un Paese moderno, che offre a chi lo visita strutture ricettive impeccabili. Manca meno di un anno al grande mondiale, e a Johannesburg fervono i preparativi. Ma appena metti piede fuori dall’aeroporto la sensazione è straniante: sei dall’altro capo del mondo, sorpreso che davvero non si cammini a testa in giù, e ti accorgi che là, sei tu il diverso, il bianco. Non riesci a mescolarti, sentirti anonimo come da noi.

Ciò non toglie nulla all’accoglienza che la gente di colore riserva agli stranieri, cordialità in primis: non si può entrare, per dire, in un supermercato, arrivare alla cassa e pensare di pagare, e non aver scambiato almeno un gentile “Buongiorno, come sta? Bene, grazie lei?”, con il cassiere. Eppure resta un non-detto, sedimentato da decenni di separazione razziale, e che ora costituisce un effettivo muro di omertà. I neri a contatto con i bianchi sanno dove finisce il reciproco spazio di intersezione, conoscono entrambe le facce di questo bi-mondo che rincorre l’Occidente. Tre sono i muri di confine: sudafricani e stranieri, sudafricano bianco e sudafricano nero, neri benestanti e neri delle township, dove la vita è dettata da un micro regime interno, e per un bianco vige il divieto di ingresso. Sei corridoi che mettono in luce le piaghe ancora aperte del Paese, dettate dal rancore e dalla povertà. Noi intanto sfrecciamo a bordo della nostra auto, carichi di valigie, macchine fotografiche appostate al finestrino, e un cd “The best of African music”, appena comprato al Duty Free: bambini, donne, carichi di ceste, legna, camminano a bordo della strada, di ritorno dai campi, dai villaggi e ti salutano allegri. Lì vanno quasi tutti a piedi. Tu sorridi a un bambino, fai “ciao” con la mano, e ti senti in colpa. South Africa 2010 è alle porte, e noi continuiamo a sfrecciare per arrivare per tempo.

Barbara Leoni